Una ritualità terapeutica contro gli effetti della paura
anno 2023
testo di Chiara Antonelli
La Valnerina, la montagna e i riti
Quella della Valnerina è una montagna dall’affascinante stratificazione di culti, ritualità e magia che da sempre caratterizza l’ecologia storico-culturale del suo luogo e di cui il femminile ne era protagonista: le donne conservavano nella memoria e nelle mani tutti quei sistemi ritualistici magico-protettivi che facevano di loro delle operatrici terapeutiche di “medicina domestica”. Tra questi, quello dell’acqua panata utilizzato per curare gli effetti della paura.
Col nome di paura, oltre alle impressioni violente o traumatiche dovute a cause fisiche, si designava il terrore derivante dalla manifestazione notturna di entità immateriali (uno spirito malevolo, uno spettro metamorfosato in un animale: cane, gatto, uccello notturno, ecc.). Si credeva che una forte paura potesse “guastare il sangue” procurando danni alla salute e alla sfera della personalità, fino a indurre la pazzia e la morte. (1)
Il termine di paura è qui da intendere proprio come l’impressione traumatica, lo spavento sofferto in seguito alla visione di un’ipotetica entità sovrannaturale, qualcosa che ti entra dentro e non deve essere trascurata. Secondo l’antica interpretazione rurale, i suoi effetti sono dovuti da un blocco, da una corruzione, da un’alterazione del sangue visto come il veicolo della forza animica della persona. Gli effetti, i sintomi, che possono manifestarsi nell’individuo vanno dalla perdita di coscienza, dell’appetito e/o del sonno, fino alla presenza di disturbi mentali, di stati confusionali oppure, nel peggior caso, della morte. È come se nel pensiero “magico” avvenisse una solidificazione degli stati d’animo che, solo in questo modo, permette di elaborare delle strategie concrete, delle azioni magico-protettive per curarsene. La paura era come una vera e propria presenza: si configurava una topografia, una mappa, un immaginario collettivo della paura. Le paure e una volta ce n’erano tante si vivevano e affrontavano collettivamente, condividendole, “che in tanti la paura non veniva” (2).
Il rito dell’acqua panata
In Valnerina, quindi, per curarne gli effetti si somministrava l’acqua panata. Si prepara con delle fette di pane raffermo abbrustolite e poi lasciate in infusione in una brocca di acqua fredda. Una volta disfatte, l’acqua veniva colata, versata e data da bere. Una ritualità terapeutica il cui valore era supportato dalla forte considerazione che si aveva del pane: prodotto simbolo per eccellenza del nutrimento della civiltà rurale, definito come grazia di Dio, intimamente sacralizzato e rispettato poiché incarnante del corpo di Cristo, non era mai mai sprecato. Tenere il pane in infusione nell’acqua, voleva dire che questa ne riuscisse ad assorbire i valori assumendone i significati curativi. L’acqua inoltre, racchiude in sé anche tutte le ambiguità del sacro, è fonte di vita, di fertilità e di forza generatrice:
[…] Le acque simboleggiano la sostanza primordiale da cui nascono tutte le forme e alle quali tornano, per regressione o cataclisma. (3)
Due entità femminili l’acqua e la terra, di cui il grano è emblema e frutto per eccellenza, entrambe dall’intrinseca capacità generatrice contenuta nell’intimo del proprio ventre e di conseguenza, anche dall’intima potenzialità conservatrice della vita nel tempo. L’acqua panata è stata come la prima “medicina” della civiltà rurale, somministrata non solo per curare dagli effetti della paura, ma anche la febbre o per alleviare il malessere fisico femminile nel ciclo della gravidanza.
Da qui, nasce il mio progetto dal titolo In acqua e terra la mano (2022), dove quest’antica ritualità viene riguardata e recuperata da un’ecologia della memoria, per essere trasferita in un presente conferendogli la possibilità di un diverso corpo e significato, di una diversa voce e visione capace di relazionarsi con le necessità attuali di quello stesso luogo, al quale intimamente appartiene.
La zona della Valnerina è stata vittima del violento e repentino sciame sismico che dall’agosto fino al novembre del 2016 ha colpito e sconvolto la comunità e il territorio che vive la montagna, con apice di magnitudo-momento Mw 6.5 registrato nella mattina del 30 ottobre e con epicentro Norcia (PG), centro nevralgico di questo ampio sistema montuoso.
Attraverso un sistema di passa-parola, sono riuscita a far incontrare e ritrovare un numeroso gruppo di donne locali e, con una parte di esso abbiamo riprodotto l’acqua panata seguendo la preparazione tradizionale che è servita poi a dar corpo al progetto attraverso un’azione performativa, che non ha previsto la presenza di un pubblico, compiuta dal resto del gruppo il 24 settembre 2022 nel territorio di Norcia, epicentro del terremoto. Raggruppate tra loro e posizionate a terra, con sé ognuna aveva portato dalla propria casa una brocca, qui simbolo e significante di un’identità individuale e abitativa. Nelle brocche è stata versata l’acqua panata precedentemente preparata e nell’azione però, a berne i valori terapeutici è stata la terra, simbolo a sua volta dell’intera comunità collettiva che la abita e di cui ne accoglie le radici della sua “mente-locale” (4). Una desiderio di superamento collettivo e individuale del trauma che passa attraverso la cura e la rigenerazione del terreno stesso.
In acqua e terra la mano è stato un modo per confrontarsi diversamente, riportando alla luce della memoria collettiva una ritualità tradizionale, con il trauma che quel terremoto ha inciso inevitabilmente nelle viscere delle soggettività che ha colpito. È stato un desiderio diverso di visione e di relazione per queste soggettività con la ferita segnata dentro di loro e che attraverso la pratica artistica, come dispositivo relazionale, si è data alla partecipazione condivisa e unitaria la possibilità di assumere, in questo modo, un ruolo catartico.
Note:
1. Fabiola Chavez Hualpa, Le donne nel mondo rurale della Valnerina, Tipolitografia Federici, 2012
2. cit. in Arianna Cecconi, L’acqua della paura. Il sistema di protezione magico di Piteglio e della Montagna pistoiese, Bruno Mondadori, 2003
3. cit. di Mircea Eliade in Arianna Cecconi, L’acqua della paura. Il sistema di protezione magico di Piteglio e della Montagna pistoiese, Bruno Mondadori, 2003
4. Franco La Cecla, Mente locale, Elèuthera, 2021
testo di Chiara Antonelli, 2023
chiara00antonelli@gmail.com
https://www.instagram.com/chiarasmettila/
foto di Chiara Scodeller